Il popolo brasiliano, che di cachaça vive ancora oggi, esprime tutta la saggezza del cogliere un’opportunità da un evento infausto in un vecchio detto: “se la vita ti dà un limone, fanne una Caipirinha”.
Nata dai primi coloni portoghesi nella regione di Sao Vicente (San Paolo), la cachaça, da noi conosciuta come l’ingrediente fondamentale della caipirinha, oggi assume una diversa importanza nel mondo della spirit industry, con brand sempre più attenti alla qualità del prodotto.
Torniamo indietro di circa 500 anni per sentire il “profumo” di una cultura che con la canna da zucchero ha scritto la storia di due popoli. Tutto inizia tra il 1532 e il 1548 quando i colonizzatori portoghesi importarono in Brasile la canna da zucchero, scoperta nelle loro colonie asiatiche meridionali. Secondo documenti storici, sarebbe stato Martim Afonso da Sousa, comandante della flotta reale portoghese, il primo a trasportare questa pianta che sarebbe servita per la produzione dello zucchero. Fu in un secondo momento che la cachaça nacque a Sao Vicente, grazie al processo di produzione dello zucchero, o meglio grazie al succo ottenuto della canna, chiamato “garapa”. Il succo, fatto bollire in contenitori metallici, produceva una schiuma densa che alcuni lavoratori locali, secondo la leggenda, lasciarono riposare in tini di legno, che non erano altro che abbeveratoi per animali. Il risultato di questa pratica portava ad una sostanza con un basso tenore alcolico. Questo “fermentato” divenne la bevanda più apprezzata dagli schiavi indigeni che per usanza erano soliti consumare un fermentato di cereali chiamato “cauim”, lasciato fermentare in tini di legno nel quale le donne sputavano per aiutare l’attivazione della fermentazione dei grani. Con il passare degli anni, si provò poi a fermentare questo succo di canna, ottenendo un prodotto meno dolce ma più piacevole al palato; così nacque l’acquavite di canna da zucchero chiamata cachaça.
Nello stesso tempo, i mulini per la produzione dello zucchero avevano intravisto la possibilità di aumentare i loro guadagni allargando la propria attività alla produzione di questo spirito che veniva usato anche come moneta per pagare i comandanti delle navi negriere che trafficavano schiavi rapiti dall’Africa. Quando sembrava che tutto procedesse a gonfie vele, nella regione di Minas Gerais vennero scoperte delle miniere d’oro che comportarono una grande migrazione di gente in cerca di fortuna sulle fredde montagne della Sierra do Espinacho dove sorsero numerosi villaggi e, ben presto, anche un discreto numero di distillerie poichè la cachaça aiutava a sopportare i freddi e lunghi inverni.
Intanto i portoghesi, preso atto della grande diffusione della cachaça, cominciarono a veder compromesso il mercato della loro bagaceira (un liquore prodotto con acini di uva) a tal punto da richiedere l’intervento del Re. Così, nel 1635, la Corona Portoghese proibì l’esportazione e, successivamente, la produzione di cachaça. Come ci insegna la storia però, fu vinta la battaglia ma non la guerra: la cachaça continuò ad essere prodotta e venduta clandestinamente. Per fronteggiare questo fenomeno si decise allora di tassare in modo abnorme la produzione del distillato, in modo tale da recuperare liquidità che venivano riutilizzate per il mantenimento della corona e per la ricostruzione di Lisbona, distrutta dal terremoto del 1755.
Nel 1756 con la comparsa del “ monjopina”, primo liquore legalmente industrializzato in Brasile, la cachaça divenne il simbolo di resistenza e libertà. Stanchi dell’atteggiamento dei portoghesi, i distillatori brasiliani si riunirono in quella che fu chiamata la “cospirazione di Minas”, contro l’oppressore straniero durante la Guerra di Indipendenza che, comunque, comportò un grave calo di consumazione di cachaça in Europa.
Solo all’inizio del XX secolo si iniziò a pensare a come attrarre l’attenzione del mondo su tutto ciò che fosse brasiliano. Nel corso degli anni diverse tipologie di canna da zucchero di qualità furono impiantate in Brasile, tra le più note vi è la “Cana Caiana” che deve il suo nome alla zona di origine, Cayenne, capitale della Guinea francese. Questa varietà di canna da zucchero fu impiantata in Brasile nel 1810 e fu subito apprezzata dai produttori. La cachaça porta anche diversi soprannomi come “zucchero bianco”, “tè di canna da zucchero”, “immacolata” ma il più conosciuto in assoluto è “pinga”, dal brasiliano gocciolare, che allude al gocciolamento dell’alcol condensato che scendeva dai soffitti delle sale di distillazione. Fu in questo momento storico che si ritornò a vedere il sole: la produzione della cachaça iniziò a evolversi e ad acquistare valore, grazie alle moderne tecniche di distillazione che ne esaltavano le qualità. Sin qui l’avvincente storia che ha portato al distillato che conosciamo e utilizziamo oggi. Ma quali sono i passaggi produttivi dalla canna da zucchero al prodotto finito?
In Brasile la canna da zucchero viene coltivata in diverse regioni e si adatta a diversi terreni con un diverso risultato finale di prodotto. Le canne vengono tagliate quando il grado di saccarosio al loro interno raggiunge la massima concentrazione, che in Brasile avviene tra giugno e luglio. Le canne più verdi non vengono toccate, poichè il loro utilizzo produrrebbe una eccessiva concentrazione di metanolo.
Raccolta la materia prima, si estrae tutto il succo della canna (garapa) che viene avviato alla fermentazione industriale con lieviti selezionati tra cui il “fub”. La fermentazione può avvenire anche partendo dalla canna frantumata, che viene messa a fermentare in grandi vasche aperte: in questo caso si parlerà di fermentazione spontanea o fermentazione agricola, della durata di circa 18 ore. In questa fase, per ottenere alcuni stili di cachaça, potrebbero essere aggiunte sostanze aromatizzanti come frutta o erbe. Ottenuto il mosto alcolico, si passa alla fase di distillazione, secondo i soliti due sistemi: tradizionale e a colonna.
La distillazione discontinua o “tradizionale” è la più antica ed avviene in alambicchi, quasi sempre di rame, originariamente riscaldati a fiamma diretta, oggi sempre più con riscaldamento interno (indiretto). Questo tipo di alambicco opera con specifiche quantità di liquido alcolico che, per effetto della vaporazione, estrae l’alcol. Ad operazione finita, occorre svuotare il liquido rimasto nell’alambicco, pulire ogni apparecchiatura e ricominciare da capo. La forma dell’alambicco varia adattandosi a quelle che sono specifiche esigenze locali, alle caratteristiche del distillato che si vuole ottenere e alla tradizione. Il distillato ottenuto da singola, duplice o triplice distillazione discontinua raggiunge 60/80° alcolici.
La distillazione continua o “a colonna” comporta l’utilizzo di apparecchi che operano con lavorazione continua per una maggiore produzione ad alto contenuto alcolico (oltre 90°), e solitamente è più neutra rispetto all’alcol ricavato dalla distillazione discontinua. Molti imbottigliatori usano la pratica di comprare dai produttori della cachaça detta “grezza”, per poi diluirla con acqua di qualità e riavviarla alla distillazione, per arricchire maggiormente il prodotto, esaltandone o rimuovendone pregi e difetti. In pratica viene usata una tecnica di multi distillazione, come è ormai consuetudine per tutti i premium brands.
Dopo la fase di distillazione lo spirito può essere imbottigliato oppure versato in botti di legno per l’invecchiamento. In questa fase è molto importante il controllo dell’ossidazione dell’alcol, ma anche le botti utilizzate che, come notorio, possono influire sui flavours del prodotto finale in base alla tipologia di legno scelto. Solitamente vengono utilizzati botti di legno brasiliano come Castanheira, Umburana, Garapeira, Amendoim, Cerejeir . La cachaça deve avere un tenore alcolico contenuto tra 38° e 54° abv (alcohol by volume) e prima di essere imbottigliata può essere addizionata fino a 6 gr. di zucchero o caramello per litro.
La produzione della cachaça può far pensare a quella del rum, ma si differenzia dalla maggior parte dei rum commerciali perché questi sono ottenuti dalla fermentazione e distillazione della melassa, che è lo “scarto” della lavorazione della canna nella produzione di zucchero (rum industriali); la cachaça, invece, utilizza esclusivamente il 100% del succo della canna da zucchero. La differenza più rilevante tra rum e cachaça, tuttavia, consiste nella distillazione: per il rum viene effettuata a circa 90° volumetrici mentre la cachaça viene distillata a circa 75° volumetrici. Distillando ad una temperatura più bassa, nel prodotto finale si otterranno una intensità gustativa più fedele alla materia prima e un aroma più pronunciato, a scapito di qualche impurità in più.
I gusti fra i due distillati sono evidentemente differenti: il gusto della cachaça è più pronunciato e con un aroma più intenso, più affine ai rum agricoli (con gli opportuni distinguo). Un modo per riconoscere una cachaça di qualità è assaporarla raffreddata, ma non troppo: dovremmo percepire un retrogusto che dovrà essere lungo e bilanciato, mentre al naso il profumo dovrà risultare delicatamente erbaceo.
Per quanto riguarda le modalità di fruizione è curioso sapere che in tutto il mondo è molto utilizzata per la miscelazione (Caipirnha e Batidas i cocktails più gettonati) mentre in Brasile è quasi esclusivamente consumata liscia. Tuttavia, in occasione delle “festas juninas”, le festività di giugno nate per celebrare i santi più popolari, per tradizione viene preparato e bevuto il “Quentao”, un punch piccante preparato con cachaça, zenzero, spezie, lime e viene servito caldo per salutare l’arrivo del freddo nell’emisfero australe.
Il più famoso Museo della cachaça fondato da Josè Moisés de Mura è a Pernambuco ed è entrato nel Guinness dei primati per la sua collezione di bottiglie di cachaça: circa 7789 provenienti da vari Stati e di diverse qualità Brasiliane. La collezione è impreziosita da una innumerevole quantità di materiale che racconta di questo spirito e del suo ruolo nella storia brasiliana.
Hai mai avuto il desiderio di realizzare un distillato tuo? In questo museo si trova il Bar di Papudinho dove vengono effettuate distillazioni guidate. Magari la prossima cachaça prodotta sarà la tua!